Anticipo del TFR in busta paga da marzo 2015 – News 032/2014
Alla fine il TFR entra in busta paga con la Legge di Stabilità 2015.
Dovrebbe partire a marzo 2015, in via sperimentale fino al 30 giugno 2018 e sarà su base volontaria, cioè a decidere se mantenere l’attuale regime oppure incrementare ogni mese il netto in busta paga saranno direttamente i lavoratori. La scelta, però, sarà irreversibile fino a giugno 2018.
La scelta spetta al lavoratore
In buona sostanza il lavoratore potrà scegliere di farsi erogare il trattamento di fine rapporto maturato al termine di ogni mese ovvero al termine del rapporto di lavoro come avviene finora.
Saranno interessati i datori di lavoro del settore privato ad esclusione dei lavoratori domestici e dei lavoratori del settore agricolo.
La richiesta di erogazione mensile potrà essere effettuato una volta che sia maturata un’anzianità di almeno sei mesi presso il datore di lavoro.
La somma spettante sarà al netto del contributo per la garanzia del TFR previsto dall’articolo 3, ultimo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 ed è compresa anche la quota eventualmente destinata ad una forma pensionistica complementare.
Il TFR erogato sarà soggetto a tassazione ordinaria
Da un punto di vista previdenziale le somme corrisposte rimangono esenti come finora previsto, mentre ai fini fiscali la retribuzione corrisposta a titolo di TFR è soggetta a tassazione ordinaria.
Non si applica conseguentemente il particolare regime di tassazione separata previsto dall’articolo 19 bis del TUIR.
Le ragioni sono da rilevarsi nel fatto che la tassazione separata ha lo scopo di evitare che per il meccanismo di progressività che regola l’IRPEF, l’erogazione di una consistente somma di trattamento di fine rapporto (evidentemente ciò accade nel caso di un’anzianità di servizio elevata), possa comportare l’assoggettamento ad un’aliquota elevata.
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La corresponsione mensile non dovrebbe comportare tale rischio o comunque certamente in misura minore, anche se in sede di conguaglio fiscale va comunque considerato che l’importo del TFR sarà destinato ad aggiungersi alla retribuzione già percepita e quindi essere assoggettato allo scaglione di tassazione più elevato corrispondente al reddito del lavoratore.
Il TFR non si calcola ai fini del bonus
Per evitare conseguenze ai fini del bonus introdotto dal D.L. 66/2014 e riproposto in maniera stabile nella Legge di Stabilità 2015, è prevista la neutralità delle somme corrisposte mensilmente a titolo di TFR.
Gli effetti per le imprese
Se è vero che da un punto di vista economico non cambia nulla per le imprese, da quello finanziario le conseguenze sono significative perché finora il TFR rappresentava di fatto una misura di autofinanziamento.
Infatti, il datore di lavoro è previsto che accantoni annualmente il TFR maturato in un apposito fondo, ma si tratta di un accantonamento contabile quindi virtuale in quanto materialmente la corresponsione e quindi l’esborso scatta al momento di cessazione del rapporto di lavoro. Sono peraltro previsti casi in cui il lavoratore può chiedere un anticipo nel corso del rapporto di lavoro.
Tale regolamentazione generale, è noto che ha già subito una radicale trasformazione a seguito della legge Finanziaria del 2007 per i datori di lavoro che occupano almeno 50 addetti in quanto versano già mensilmente all’INPS il TFR maturato dai lavoratori.
In particolare, l’articolo 1, commi 755 e seguenti, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 , ha istituito il “Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’articolo 2120 del codice civile”, che viene gestito dall’INPS per conto dello Stato su apposito conto corrente aperto presso la Tesoreria dello Stato.
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Il Fondo garantisce ai lavoratori dipendenti del settore privato l’erogazione dei trattamenti di fine rapporto di cui all’articolo 2120 del codice civile, per la quota corrispondente ai versamenti ai versamenti effettuati dai datori di lavoro obbligati.
Tali sono coloro quelli del settore privato che abbiano alle proprie dipendenze almeno 50 addetti.
Il meccanismo, consiste nel versamento mensile al Fondo di tesoreria di una somma corrispondente al trattamento di fine rapporto maturato mensilmente.
Tale accantonamento da versare all’INPS, è equiparato alla contribuzione previdenziale ai fini dell’accertamento e della riscossione, a quella obbligatoria dovuta a carico del datore di lavoro, con le relative conseguenze anche dal punto di vista sanzionatorio.
Al fine di individuare i datori di lavoro obbligati, ricordiamo che la circolare INPS n.70/2007 ha evidenziato che il limite dimensionale si calcola, per le aziende in attività al 31 dicembre 2006, prendendo a riferimento la media annuale dei lavoratori in forza nell’anno 2006.
Pertanto, eventuali modifiche che dovessero successivamente intervenire in relazione al numero degli addetti risultano irrilevanti al fine di individuare la sussistenza dell’obbligo al versamento, sia in caso di riduzione del numero degli addetti a meno di 50, sia in caso di raggiungimento in data successiva al 31 dicembre 2006 di un numero di addetti pari o superiore a 50.
Per le aziende che iniziano l’attività dopo il 31 dicembre 2006, si prenderà a riferimento la media annuale dei lavoratori in forza nell’anno solare di inizio attività.
Dunque, il versamento mensile del trattamento di fine rapporto, già è operativo per tutti i datori di lavoro citati che occupano almeno 50 lavoratori i quali non subiranno conseguenze da un punto di vista finanziario nel caso di scelta dei lavoratori di erogazione diretta mensilmente.
Rimane evidentemente il problema per tutti datori di lavoro al di sotto della soglia che, come accennato, utilizzano il TFR quale forma di autofinanziamento.
A tal fine, è previsto lo stanziamento di 100 milioni di euro per sostenere l’operazione.
Verso un accordo con le banche
Un accordo con le banche dovrebbe consentire di evitare alle piccole imprese di accollarsi l’anticipazione del pagamento.
Le risorse stanziate servirebbero a garantire gli istituti.
Nello specifico, sarà stipulata una convenzione tra l’ABI – Associazione Bancaria Italiana ed il MEF ed è probabilmente questa la ragione per la quale il TFR in busta paga non partirà già da gennaio.
Per i datori di lavoro ci sarà una riduzione dei costi derivanti dall’attuale meccanismo di rivalutazione del tfr accantonato annualmente (1,5% in misura fissa, al quale si aggiunge lo 0,75% del tasso di inflazione).
Fonte: Ipsoa
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