La Riforma e le esigenze temporanee di lavoro: contratti a tempo determinato – News 019/2012
Uno degli aspetti più immediati e di primo impatto della Riforma Fornero-Monti è senz’altro dedicato alla c.d. “flessibilità in entrata”, che il legislatore tenta di attuare con una rivisitazione delle norme sul tempo determinato.
Si dispone infatti, a partire dal 18/07/2012, – novità di assoluto rilievo – al comma 1/bis, secondo cui è sempre possibile attivare il contratto a tempo determinato senza alcun requisito causale previsto dal comma 1 (ovvero senza alcuna motivazione specifica), nelle ipotesi di:
- 1. primo lavoro a tempo determinato di durata non superiore a 12 mesi;
- 2. prima missione del lavoratore verso lo stesso utilizzatore nell’ambito di un contratto di somministrazione a termine;
- 3. ipotesi previste dalla contrattazione collettiva nazionale entro il limite del 6 % dei lavoratori occupati nella stessa unità produttiva.
N.B. Tutti questi contratti senza causa non possono esser prorogati (i primi due nemmeno ripetuti per lo stesso datore o utilizzatore).
Inoltre, se il lavoratore è già stato utilizzato con contratto di somministrazione (interinale), la successiva assunzione a termine, anche per altra mansione, non potrà essere priva di causale.
Ogni contratto a tempo determinato, si ritiene anche i precedenti, potrà continuare per un breve periodo dopo la scadenza del termine. Non si tratta, in questo caso, di una vera e propria proroga ma solo di una continuazione di fatto che la riforma in commento dilata rispetto ai termini precedenti:
- – i contratti sino a 6 mesi potranno proseguire per un massimo di 30 giorni (prima erano 20)
- – i contratti oltre 6 mesi potranno proseguire per un massimo di 50 giorni (prima erano 30).
In questo caso si precisa che la continuazione dovrà essere comunicata al competente Centro per l’impiego, risolvendo un dubbio interpretativo della norma precedente, con modalità che saranno precisate dal Ministero del Lavoro.
Viene invece introdotta una rigidità, in modifica dell’art. 5 comma 3 del D. Lgs. 368/01, aumentando considerevolmente l’intervallo che deve intercorrere fra un contratto a termine e l’altro (stipulati con il medesimo lavoratore) per evitare la conversione a tempo indeterminato del secondo contratto:
- precedente contratto fino a 6 mesi – stacco di almeno 60 giorni (prima 10) dall’inizio del secondo;
- precedente contratto oltre 6 mesi – stacco di almeno 90 giorni (prima 20) dall’inizio del secondo.
Solo la contrattazione collettiva può altresì ridurre tali intervalli (rispettivamente a 20 e 30 giorni) nell’ambito di processi organizzativi caratterizzati da:
- – avvio di nuova attività;
- – lancio di un nuovo prodotto o servizio innovativi;
- – cambiamento o innovazione tecnologica rilevanti;
- – fase supplementare di importanti progetti di ricerca;
- – rinnovo o proroga di una commessa consistente.
(N.B. sono le stesse causali che la contrattazione può prevedere per la stipulazione di contratto “senza motivazione” – vedi voce 3).
Trattasi comunque di un irrigidimento delle condizioni abbastanza critico per le aziende che abbiano necessità di ricorrere a tempo determinato per esigenze davvero contingenti ma a ridosso l’una dall’altra, senza la possibilità di assicurare l’intervallo predetto (e senza nemmeno la possibilità della contrattazione di intervenire in loro aiuto), con l’effetto di aumentare per tali imprese un turn-over poco qualificato.
Agli effetti del computo dei 36 mesi previsti (ipotesi massima del ricorso a tempo determinato presso lo stesso datore di lavoro per le stesse mansioni) dall’art. 4-bis sono computati, insieme ai rapporti a tempo determinato, anche i rapporti a termine in somministrazione (lavoro interinale) in cui la prestazione del lavoratore sia stata fruita dall’utilizzatore (azienda).
Ne consegue pertanto che i datori di lavoro dovranno tenere conto, ai fini dell’indicato termine dei 36 mesi, dei periodi di lavoro svolti in forza di contratti di somministrazione (interinali) a tempo determinato stipulati a far data dal 18/07/12 (data di entrata in vigore della legge). Si ricorda, in ogni caso, che il periodo massimo di 36 mesi rappresenta un limite alla stipulazione di contratti a tempo determinato e non al ricorso alla somministrazione di lavoro. Ne consegue che raggiunto tale limite il datore di lavoro potrà comunque ricorrere alla somministrazione a tempo determinato con lo stesso lavoratore anche successivamente al raggiungimento dei 36 mesi.
Aumento della contribuzione.
La riforma prevede inoltre un aumento del costo del lavoro a termine, a partire dal gennaio 2013.
Da tale data , infatti, le aziende che assumeranno a termine verseranno, relativamente a tali rapporti, un contributo addizionale pari all’1,4 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, contributo destinato a cofinanziare la nuova Assicurazione sociale per l’impiego (ASPI).
Il contributo peraltro potrà essere restituito (nel limite massimo delle ultime 6 mensilità):
– alle aziende che confermino a tempo indeterminato il lavoratore a termine,
– alle aziende che riassumano IL LAVORATORE a tempo indeterminato entro 6 mesi dalla cessazione del contratto a termine (però non sarà restituito il contributo per il numero di mensilità relative al periodo di intervallo intercorso),
non sarà applicato:
– per i rapporti a termine per sostituzione di personale assente,
– per i rapporti a termine per attività stagionali (per le aziende classificate come tali).
Impugnazione.
A partire dal 1 gennaio 2013 è stabilito un nuovo regime di decadenze per l’impugnazione dei contratti a termine, per cui il lavoratore che voglia eccepire la nullità del termine :
– deve manifestare tale volontà al datore di lavoro (con qualsiasi atto , anche stragiudiziale) entro 120 giorni dalla fine del contratto (fino al 31.12.2012 tale termine è invece di 60 giorni, come previsto dalla norma precedente);
– deve avviare il giudizio (mediante deposito del ricorso dinanzi al Giudice del lavoro) entro i successivi 180 dalla predetta manifestazione; anche in tal caso, fino al 31.12.2012 varrà il precedente termine di decadenza , che invece era più ampio (270 giorni).
I nuovi termini predetti saranno applicabili in relazione alla data di cessazione dei contratti a tempo determinato, senza alcuna relazione alla loro data di stipulazione.
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