Lavoro a progetto nei call-center – News 028/2012
E’ possibile individuare un progetto anche nell’ambito delle attività operative telefoniche offerte dai call-center, purché in ogni caso idonei a configurare un determinato risultato che l’operatore telefonico assume l’obbligo di eseguire entro un termine prestabilito e con possibilità di autodeterminare il ritmo di lavoro.
Il Ministero del lavoro ha chiarito che in presenza di un genuino progetto con riferimento alle campagne “out bound” ovvero in attività analoghe quanto alla modalità di esecuzione della prestazione (ad es. il recupero crediti stragiudiziale mediante sollecito telefonico), tutta una serie di elementi di seguito indicati non sono suscettibili a far disconoscere la natura autonoma del rapporto a condizione che il collaboratore determini discrezionalmente ed unilateralmente, senza necessità di preventiva autorizzazione, la quantità di prestazione da eseguire e la collocazione temporale della stessa (ML nota n. 17286/2008). Tali elementi sono:
– l’utilizzo della utilità data dalla esecuzione della collaborazione genuinamente autonoma e conforme ai requisiti di legge quanto alla specifica e puntuale sussistenza di un progetto nell’ambito di una attività organizzata del committente;
– l’utilizzo esclusivo di mezzi, materiali e strumenti messi a disposizione dal committente;
– l’utilizzo di sistemi di chiamata in automatico, che necessariamente forniscono indicazioni al sistema informativo del committente circa la presenza del collaboratore e che mettano in comunicazione il collaboratore resosi in quel momento disponibile con l’utente telefonico;
– lo svolgimento della prestazione all’interno di una struttura del committente, necessariamente soggetta a orario di apertura e di chiusura, pur non essendovi il collaboratore vincolato;
– l’impegno del committente a corrispondere un compenso sulla base di una provvigione sui prodotti venduti dal collaboratore nell’ambito di una specifica campagna, eventualmente variabile in maggiorazione al raggiungimento di determinati obiettivi di fatturato;
– le istruzioni di massima fornite dal committente al collaboratore.
Viceversa, le attività “in bound”, in cui l’operatore non gestisce la propria attività, né può in alcun modo pianificarla giacché la stessa consiste prevalentemente nel rispondere alle chiamate dell’utenza, limitandosi a mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie psicofisiche per un dato periodo di tempo, non possono dar luogo a collaborazioni a progetto (ML nota n. 11899/2007).
L’art. 24-bis del D.L. 83 del 22/06/2012 (articolo aggiunto dalla L. n. 134 del 07/08/2012) detta norme per le attività svolte dai call center con almeno 20 dipendenti la cui violazione comporta una sanzione di 10.000 euro per ogni giornata di violazione.
In caso di aziende che spostano l’attività fuori del territorio nazionale, è previsto l’obbligo di comunicare tale spostamento al Ministero del lavoro almeno 120 giorni prima del trasferimento stesso, individuando i lavoratori coinvolti, nonché all’Autorità garante della privacy, indicando le misure adottate ai fini del rispetto della legislazione nazionale. Analoga informativa deve essere fornita anche dalle aziende che operino già oggi su paesi esteri. Per le aziende che delocalizzano le attività nei paesi esteri inoltre c’è il divieto di erogazione di specifici benefici ed incentivi.
Quando un cittadino chiama o viene contattato da un call center deve essere informato preliminarmente sul paese estero in cui l’operatore che parla sia fisicamente collocato; nel caso in cui il cittadino chiami, inoltre, deve poter scegliere che il servizio sia effettuato tramite un operatore collocato sul territorio nazionale.
La Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro nella circolare n.17 dell’8 ottobre esamina le novità in merito alla disciplina relativa alle collaborazione coordinate e continuative a progetto, oggetto di profonde modifiche dopo l’entrata in vigore della Riforma del Mercato del lavoro il 18 luglio scorso. La Riforma ha infatti ridefinito i requisiti necessari per una sua corretta stipulazione, prevedendo che “Il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
La Fondazione, in particolare, esamina le novità contenute nel decreto legge 22 giugno 2012 n° 83, convertito in Legge 7 agosto 2012 n° 134 che all’articolo 24-bis), comma 7 ha introdotto modifiche all’articolo 61, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Legge Biagi).
Si tratta della disciplina relativa alle collaborazione coordinate e continuative a progetto, oggetto di profonde modifiche dopo l’entrata in vigore della Riforma del Mercato del lavoro il 18 luglio 2012.
La legge n. 92/2012 ha infatti ridefinito i requisiti necessari per una sua corretta stipulazione, prevedendo che “Il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
Tale norma, trovava applicazione anche nella aziende di call center in cui si registra un utilizzo rilevante del contratto a progetto, soprattutto in out bound.
In questo quadro giuridico di riferimento si colloca il decreto legge 22 giugno 2012 n° 83, così come modificato e convertito in Legge 7 agosto 2012 n° 134 il quale all’articolo 24-bis), comma 7 stabilisce che all’articolo 61, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, dopo le parole “rappresentanti di commercio”, sono inserite le seguenti: “nonché delle attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso call center ‘out bound’ per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento”.
Naturalmente, tale possibilità rimane esclusa quando di fatto il rapporto presenta gli elementi tipici della subordinanzione indipendentemente dal contratto stipulato tra le parti.
La Fondazione Studi, ricorda intanto che il Ministero del Lavoro con circolare n° 17 del 14 giugno 2006 ha fornito una descrizione delle attività svolte in “out bound” secondo cui il compito assegnato al collaboratore è quello di rendersi attivo nel contattare, per un arco di tempo predeterminato, l’utenza di un prodotto o servizio riconducibile ad un singolo committente. Secondo il Ministero del Lavoro la differenza tra servizi out bound e in bound è, di fatto, il comportamento attivo del lavoratore che da solo è sufficiente a qualificare la prestazione come obbligazione di risultato (appunto il progetto del servizio out bound) e non come obbligazione di mezzi (la disponibilità resa dal lavoratore per un determinato periodo a ricevere le telefonate da parte della clientela – servizio in bound).
La Fondazione dei Consulenti interviene sul campo di applicazione delle nuove disposizioni in quanto il comma 1 dell’articolo 24-bis precisa che “Le misure del presente articolo si applicano alle attività svolte da call center con almeno venti dipendenti”. Su tale aspetto, la circolare della Fondazione ritiene che la precisazione non possa trovare applicazione con riferimento al successivo comma 7. Infatti, la legge in questione modificando il comma 1 dell’articolo 61 del D.Lgs. 276/2003 estende, senza alcuna limitazione, le novità a tutte le aziende di call center indipendentemente dalle loro dimensioni. Ne consegue, dunque, che il richiamo previsto nell’articolo 24-bis, comma 1 deve essere riferito alla previsione legislativa contenuta dal secondo al sesto comma della stessa norma.
Un elemento di criticità rilevato nella circolare riguarda l’applicabilità o meno dell’intera disciplina del lavoro a progetto nei riguardi dei call center. Il dubbio nasce dal fatto che la modifica è stata inserita in un contesto della norma in cui è prevista l’esclusione di alcune categorie di lavoratori (come ad esempio, gli agenti e rappresentanti). Peraltro, questa conclusione sembrerebbe sostenuta anche sul piano letterale poiché il periodo della norma che esclude dal lavoro a progetto gli agenti e rappresentanti di commercio è collegato (“nonché”) al nuovo periodo in cui è richiamata l’attività dei call center.
Ciò nonostante, da un’analisi complessiva della norma, la Fondazione ritiene che le modifiche in esame non sembrano condurre ad una esclusione totale dell’attività di out bound dalla disciplina del lavoro a progetto. Si giunge a questa conclusione per due motivi: il primo motivo, di ordine sistematico, poiché una eventuale esclusione dal lavoro a progetto degli operatori di call center determinerebbe un inspiegabile abbassamento delle tutele per questa tipologia di lavoratori, immediatamente dopo l’entrata in vigore della legge 92/2012 che, al contrario, si è posta l’obiettivo di riconoscere maggiori tutele alla generalità dei lavoratori (aumentando, dunque, le tutele anche in questo settore). Il secondo motivo, più letterale, poiché la norma espressamente stabilisce che per le attività di out bound “il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito…” sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva.
Ne consegue, dunque, che il legislatore ha espressamente ammesso il lavoro a progetto nel rispetto di alcuni parametri economici di seguito analizzati.
La norma, dunque, secondo la Fondazione, deve essere interpretata nel senso che il progetto, in questo settore, può essere genuino anche in presenza di attività “esecutive o ripetitive” in deroga a quanto contenuto nell’articolo 61, comma 1 del D.Lgs. 276/2003 e introdotto dalla legge 92/2012.
Al contrario trovano piena applicazione le altre tutele previste per questa tipologia di contratto dal decreto legislativo n. 276/2003 (esempio, assenze per malattia).
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