Nuovo contratto a tempo determinato – ulteriori precisazioni. News 010/2014
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 66 del 20 marzo 2014 ed è entrato in vigore il giorno successivo, il D.L. n. 34 con il quale l’Esecutivo ha emanato, con urgenza, alcune disposizioni finalizzate a rivedere la disciplina del contratto a tempo determinato, dell’apprendistato,
dell’iscrizione dei lavoratori nelle liste di disponibilità, del Documento unico di regolarità contributiva e dei contratti di solidarietà previsti dall’art. 1 della legge n. 863/1984.
Rimandando a specifiche riflessioni sulla complessità degli istituti a quando il provvedimento sarà convertito, in via definitiva, dopo il passaggio parlamentare, si ritiene opportuno focalizzare l’attenzione in questo articolo sulle novità relative al contratto a tempo determinato.
Acausalità
La nuova disposizione, contenuta nel comma 1 dell’art. 1 del D.L.vo n. 368/2001 introduce, in via generale, a partire dal 21 marzo 2014, il contratto “acausale”. L’art. 1 infatti afferma che il contratto a tempo determinato può essere stipulato per iscritto per un massimo di trentasei mesi, comprensivi di eventuali proroghe per qualsiasi tipo di mansione. L’acausalità è, peraltro, estesa al contratto di somministrazione.
Nel rispetto della previsione contenuta all’art. 10, comma 7, del D.L.vo n.
368/2001, il numero complessivo dei rapporti, non può superare il 20% dell’organico complessivo, mentre le imprese dimensionate fino a cinque unità possono sempre stipulare un contratto a tempo determinato.
Fin qui la norma: ovviamente, il primo problema che si pone riguarda i contratti a termine in essere (soprattutto, per quel che concerne il regime delle proroghe). Si applica anche ad essi o, invece, restano disciplinati, fino alla loro naturale scadenza, dalle vecchie norme? Tutto questo
pone una serie di problemi operativi che potrebbero essere chiariti in sede di conversione: in caso contrario, per avere, comunque, la certezza di aver ben operato (pur essendo preferibile applicare la nuova disposizione sin da subito) si dovrebbe ricorrere alla cessazione del rapporto ed alla
instaurazione di uno nuovo, ovviamente, nel rispetto dei “termini di stacco” che non sono stati mutati (dieci o venti giorni a seconda della durata del precedente contratto).
Percentuale del 20%
L’art. 1 afferma che l’assunzione di personale a tempo determinato non può superare, ferme restando le previsioni dell’art. 10, comma 7 (fase di avvio di nuove attività, per ragioni di carattere sostitutivo, di stagionalità, o per lavoratori di età superiori a 55 anni), il limite del 20% dell’organico complessivo, mentre le imprese dimensionate fino a cinque dipendenti possono stipulare un contratto a tempo determinato.
Base di calcolo: la disposizione fa riferimento all’organico complessivo (quindi dell’azienda nel suo complesso e non delle singole unità produttive). Si ritiene che ci si riferisca al personale dipendente in forza al momento dell’assunzione.
Applicando i criteri, già presenti nella circolare INPS n. 22/2007 sono esclusi dal computo numerico:
a) gli apprendisti;
b) gli assunti con contratto di inserimento;
c) gli assunti con contratto di inserimento ex art. 20 della legge n. 223/1991;
d) i lavoratori somministrati inviati dalle Agenzie di Lavoro;
e) i lavoratori assunti dopo essere stati addetti in lavori socialmente utili o di pubblica utilità.
I lavoratori a tempo parziale vanno computati “pro–quota”, mentre quelli intermittenti vanno calcolati nell’organico dell’impresa in proporzione all’orario di lavoro effettivamente prestato nell’arco di ciascun semestre. Ovviamente, nel computo complessivo rientrano anche i dirigenti ed i lavoratori a domicilio.
L’Esecutivo fa salvi gli eventuali limiti posti dalla contrattazione nazionale che possono essere maggiori o minori rispetto alla percentuale del 20%. Ciò significa che gli accordi in essere vanno rispettati.
Imprese con un organico fino a cinque dipendenti: la norma afferma che possono assumere un lavoratore con contratto a termine. Quindi ciò è possibile per le aziende che occupano da zero a cinque dipendenti.
Stando al tenore letterale della disposizione che parla soltanto di imprese, l’assunzione pare esclusa per quei datori di lavoro che non sono tali (ad esempio, i professionisti), a meno che, magari attraverso un chiarimento amministrativo, non si voglia interpretare la parola “impresa” in senso “atecnico”. E’ auspicabile, comunque, che in sede di conversione la parola “imprese” sia sostituita con datori di lavoro. Una norma penalizzante per le piccole imprese che si vedrebbero costrette ad assumere quasi tutti i dipendenti a tempo indeterminato. Si pensi ad un’azienda con 5 o 6 dipendenti. Dovrebbe avere 4 o 5 dipendenti assunti a tempo indeterminato e avrebbe la possibilità di assumerne solatanto 1 a tempo indeterminat. Ci auguriamo modifiche in sede di conversione.
Proroghe
L’art. 4, comma 1 dopo aver affermato che per la proroga del contratto occorre il consenso del lavoratore, afferma che lo stesso può esser prorogato soltanto allorquando la durata iniziale è inferiore ai trentasei mesi. Oggi le proroghe sono ammesse per un massimo di otto volte ed esse sono soltanto “condizionate” allo svolgimento della stessa attività lavorativa
per la quale è stato stipulato l’iniziale contratto.
Ovviamente, l’ampliamento dell’istituto della proroga, non più condizionato da situazioni oggettive, fa perdere importanza allo stacco tra un contratto e l’altro, in caso di rinnovo: la disposizione resta quella originaria dei dieci e venti giorni (se il precedente contratto aveva avuto
una durata fino a sei mesi o superiore), fermo restando che la contrattazione collettiva, anche aziendale (art. 4, comma 3) può ridurre o abbattere i periodi di intervallo appena indicati.
Fonte: DTL Modena – Dottrina per il Lavoro
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