Inps-Retribuzione imponibile. Riduzione retribuzione per giorni non lavorati. Inderogabilità minimale contributivo – News 025/2014
Si segnala che nel caso di accertamento Inps, laddove non indicate, e quindi non retribuite in quanto considerate “assenza”, tutte le ore di lavoro previste settimanalmente, l’attuale orientamento dell’istituto è quello di provvedere al recupero contributivo sul minimale, in riferimento alla disposizione che “l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale”.
Il Ministero del Lavoro, in data 22/08/2013, risponde ad un quesito posto dalla DTL di Verbania-Cusio-Ossola in merito all’obbligo di versamento contributivo in caso di riduzione dell’orario di lavoro. Riferisce il Ministero che “è previsto un automatismo in virtà ù del quale il datore di lavoro che sospenda unilateralmente l’attività lavorativa e riduca conseguentmente la retribuzione, è posto immediatamente in mora, incorrendo in un inadempimento contrattuale, senza la necessità che il lavoratore debba preventivamente fare offerta della propria prestazione lavorativa. La mora del creditore della prestazione lavorativa, e la sua conseguente obbligazione retributiva, trova infatti applicazione generalizzata in tutti i casi in cui il datore di lavoro sospenda l’orario di lavoro e riduca la retribuzione al di fuori delle ipotesi consentite (su base legale – come nel caso di una procedura di CIG -, ovvero contrattuale collettiva, ovvero a seguito di una conforme deliberazione assembleare in ambito cooperativo)”.
Può essere ad esempio il caso in cui un’azienda si trovi in un periodo di minor lavoro, e relativamente a tale periodo datore di lavoro e lavoratore siano d’accordo sul fatto che quest’ultimo non presti attività lavorativa. Nel caso in cui l’interessato abbia ore di ferie o permessi a sufficienza, tali giorni vengono regolarmente retribuiti come tali, ma se il periodo di interruzione del lavoro è maggiore, rimangono giorni che non vengono nè lavorati, nè retribuiti con il risultato che la retribuzione globale percepita dal lavoratore in quel mese è inferiore al minimo contrattuale e anche al minimale contributivo.
Orbene, secondo la giurisprudenza costante del Supremo Collegio l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (cosiddetto “minimale contributivo”).
E’ dunque evidente che se ai lavoratori vengono retribuite meno ore di quelle previste dal normale orario di lavoro e su tale retribuzione viene calcolata la contribuzione, non vi può essere il rispetto del minimo contributivo nei termini sopra rappresentati. Nè basta a tal fine far ricorso ad un accordo “verbale” intervenuto tra datore di lavoro e lavoratore, poiché, se può esservi un accordo sulla effettiva prestazione, non può esservi un accordo sulla
retribuzione minima da assoggettare a contribuzione, di per sé indisponibile.
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